Émile e Marguerite, due vite al tramonto, così diverse tra loro, decidono, contro ogni logica, di vivere insieme gli ultimi anni della loro grama esistenza, senza, tuttavia, rinunciare, ciascuno, alle proprie idiosincrasie. L’una, Marguerite, appartenente alla borghesia dell’epoca – il romanzo prende vita negli anni ’60 –, figlia di un imprenditore edile da cui prende il nome il borgo in cui vive, l’altro, Émile, un oramai pensionato, dalle umilissime origini, già capomastro, frequentatore di bettole. Vedovi entrambi si erano conosciuti per caso e risposati. In comune, forse, avevano unicamente la paura di affrontare una vecchiaia solitaria. Una vita fatta di giornate sempre uguali a se stesse, dialoghi rarefatti ed un latente reciproco disprezzo. Il momento topico è rappresentato dalla scoperta, da parte di Émile, della morte del proprio amato gatto Giuseppe per avvelenamento, ad opera, egli ritiene, della moglie. La vendetta si abbatte funesta su Coco, il pappagallo di lei. A seguito della morte dei due animali entrambi, ciascuno chiuso nei propri ricordi, interagisce con l’altro solo attraverso fogliettini, il più delle volte contenenti insulti. E’ così che si snoda il racconto, che da corpo alla frustrazione dei due personaggi, quasi a voler dare una dignità all’odio latente che ciascuno reca nel proprio animo e che trova la propria ragion d’essere se indirizzato verso l’altro. Incapaci tuttavia di vivere lontani non riescono ad aprirsi per concedere a se stessi e all’altro quell’amore di cui probabilmente entrambi avrebbero bisogno. E’ con “Il Gatto” di Georges Simenon che ha inaugurato la nuova stagione del Piccolo Eliseo di Roma – quella del Centenario – in scena dal25 ottobre all’11 novembre, una produzione Compagnia Umberto Orsini.
La regia è di Roberto Valerio, l’interpretazione di Alvia Reale, Elia Schilton e Silvia Maino, capaci, soprattutto i primi due, di dare anima e corpo ai personaggi di Simenon, in un racconto che si dipana attraverso una narrazione in terza persona, mai diretta, intervallata da silenzi prolungati. L’acredine si alterna alla dolcezza dei ricordi di una vita precedente, terminata troppo presto. Incapaci di vivere senza l’altro Émile e Marguerite sono prigionieri in un matrimonio che ha ceduto il passo a un bieco e beffardo conflitto permanente. Uno spettacolo tagliente e irrinunciabile.
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