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Dopo il passaggio ai festival di Locarno e a quello di Annecy, dove il film si è aggiudicato il premio Grand Prix du Jury, Menocchio di Alberto Fasulo– una produzione Nefertiti Film e Rai Cinema – è arrivato nelle sale italiane lo scorso 8 novembre.
La quarta opera del regista friulano di Rumore Bianco, Tir e Genitori, racconta la vera storia diDomenico Scandella, detto appunto Menocchio, un mugnaio eretico nel Friuli del ‘500. La vicenda trae spunto dal saggio di Carlo Ginzburg Il Formaggio e i Vermi del 1976.
Ad interpretare Menocchio uno straordinario Marcello Martini – attore non professionista, come tutto il cast – particolarmente convincente.
Siamo alla fine del 1500, la Chiesa è minacciata dalla Riforma Protestante e particolarmente attenta al controllo delle coscienze.
Menocchio è solo un vecchio mugnaio che ha imparato a leggere e a scrivere da autodidatta. Ed è proprio grazie a quella cultura, fatta dei pochi libri che ha in casa, che si è liberato dalla schiavitù del pensiero dominante dando vita un suo pensiero critico, indipendente dai dettami del tempo.
Scandella vive in un piccolo villaggio del Friuli, con moglie e figli e ha le sue idee sulla religione, come sulla Chiesa, che vorrebbe povera, francescana. E’ questo che fa di Menocchio un eretico da processare e condannare, come accadrà in effetti a seguito di un lungo processo.
Fasulo, con Menocchio, dà volto ad uno dei tanti personaggi minori, dimenticati dalla storia, ergendolo a simbolo di chi lotta ogni giorno per i propri diritti. Le atmosfere sono buie, per gran parte del film. La musica è quasi totalmente assente, la fotografia scarna.
La cinepresa di Fasulo segue Menocchio per tutto il racconto, inquadrando spesso i dettagli del suo volto rugoso, con lo sguardo sempre sospeso tra finzione e documentario.
Un cinema della sobrietà, che, nonostante l’ambientazione nel 1500, rimanda al neorealismo di Rossellini, per non dimenticare chi ha combattuto per affermare il proprio “pensiero contro”.
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