Un uomo in bianco su sfondo nero, illuminato ora da una luce più fioca ora da una più forte. Sei microfoni puntano verso di lui e di fronte solo un leggio. Una scenografia essenziale per un reading che prende vita con il procedere della narrazione.
“L’autore e il suo doppio” è l’evento straordinario che vede l’attore Fabrizio Gifuni portare in scena a Roma – al Teatro Vascello, dal 2 al 12 marzo – quattro suoi lavori tratti da capolavori della letteratura internazionale. Da Camus a Pasolini, da Testori a Cortàzar e Bolaño.
Sono lavori molto diversi l’uno dall’altro, uniti dal fatto di essere a metà tra letteratura e teatro. Probabilmente non pensati per il palco ma che si prestano come materiale di scena. Si inizia con Lo Straniero di Albert Camus – in scena fino a domenica 5 – capolavoro dell’esistenzialismo francese; deiquattro spettacoli che compongono questa rassegna èquello dalla vita più lunga, è stato nelle stagioni dei grandi teatri italiani, ha avuto diversi riconoscimenti ed è lo studio più compiuto.
Gifuni rilegge con arguzia la parabola esistenzialista di Meursault, protagonista del romanzo del 1942, che ruota interamente intorno ad un personaggio inquietante nella sua totale assenza di emozioni, quasi impermeabile e certamente arroccato in un’egoistica indifferenza. La sua vita oscilla tra la noia e l’estraniazione, elementi che gli saranno tuttavia fatali quando sul finale dovrà essere giudicato da un tribunale per un omicidio, commesso quasi per errore, sull’onda più che di una reale volontà o cattiveria, del caldo che gli annebbia la mente. Meursault non sente nulla quando gli viene comunicata la morte della madre. Si reca al ricovero fuori città dove lei aveva trascorso gli ultimi anni, ma non vuole neppure vederla. Fuma e si intrattiene insieme al portiere della struttura. Quindi incontra Marie Cardona, che diverrà la sua ragazza, ma non si lascia andare neanche a questo amore. Meursault è un uomo senza qualità, un impiegato senza aspirazioni di una torrida Algeri, vittima della noia.
Gifuni ci restituisce attraverso un reading di 75 minuti, per la regia di Roberta Lena e il suono di G.U.P Alcaro, in un’interpretazione, priva di identificazione, ma di forte impatto e forza, la solitudine esistenziale, l’ossessione della morte, una disperazione mascherata da indifferenza, e la sostanziale incapacità di giustificare e dare un senso alla propria esistenza. Solo sulla scena, l’attore è coadiuvato solo dai rumori che rendono più reale il racconto, da intervalli musicali e dalla sua potenza seduttiva e corporea travolgente. 10 minuti di scroscianti applausi, davvero meritati.
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