di Elena D’Alessandri
1517: Martin Lutero affigge 95 tesi sulle indulgenze e, più in generale, sull’opera della Chiesa dell’epoca, sulla porta della Chiesa di Wittenberg. Con questo gesto prese vita la riforma protestante, un movimento religioso con risvolti politici di tipo rivoluzionario. Dopo l’affissione delle tesi Lutero venne infatti convocato a Roma per dimostrare la propria ortodossia. Il giovane professore di teologia dichiarò invece di non riconoscere più l’autorità della Santa Sede dando vita ad una spaccatura che non si sarebbe più risanata.
500 anni dopo quel 31 ottobre, il raffinato regista Cesare Lievi si domanda cosa sia rimasto nelle nostre vite di quel gesto, portando in scena uno spettacolo su Lutero, “Il giorno di un Dio”, una coproduzione Teatro di Roma, Emilia Romagna Teatro e Stadttheater di Klagenfurt (Austria), città che ne ha ospitato il debutto assoluto ad ottobre, esattamente cinquecento anni dopo il rivoluzionario gesto.
12 frammenti scenici di grande impatto visivo, in particolar modo i tre dedicati all’“ascesa delle scimmie”, “l’ascesa degli uomini” e “l’ascesa dei guerrieri”.
Una ricostruzione colta, elegante e fortemente allegorica delle 95 tesi, una riflessione sulle conseguenze della riforma e su temi attualissimi come religione e libertà, o religione e fanatismo. Dodici tentativi per un lavoro su Martin Lutero, dove la rappresentazione viene affiancata ad un discorso sulla perdita di memoria storica: “il teatro risveglia ricordi, anche quelli morti, e noi l’abbiamo fatto con Lutero. Ricordi morti. Per l’appunto, non c’è peggior cosa d’un ricordo morto. Dice un personaggio del nostro spettacolo. E penso abbia ragione. Un ricordo che non parla è qualcosa di mostruoso: sta lì, di fronte a noi, ma non lo capiamo, non riusciamo a decifrarlo. Eppure agisce, ci turba, ci crea angoscia, perché in fondo se è lì come ricordo, la sua morte non può che essere apparente”. Riflessioni e domande, a cui i dodici frammenti, lontani dal tentativo di formulare una risposta, si rapportano interagendo alla ricerca di una folgorazione: “quello che siamo, ha ancora ha che fare con quello che è stato? È ancora possibile un rapporto tra parola e verità? La fede (magari in un Dio unico) porta necessariamente all’intolleranza e al fanatismo?”
Uno spettacolo colto, allegorico, di grande impatto, che carpisce lo spettatore in un crescendo di impulsi, di immagini, di parole. Che fa riflettere. Una straordinaria regia, quella di Lievi, cui si accompagna un testo (di cui è egli stesso autore) portato in scena da un cast di 8 attori, per metà italiani e per metà tedeschi – Hendrik Arnst, Valentina Bartolo, Bea Brocks, Paolo Garghentino, Irene Kugler, Gregor Kohlhofer, Graziano Piazza, Alvia Reale. In due lingue diverse, talvolta con una recitazione “a specchio”, prendono vita questi dodici frammenti legati tra loro da un sottile fil-rouge. Dodici riverberi di Lutero nel nostro tempo. Fino al 21 gennaio al teatro Argentina. Molto bello, ma non per tutti.
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