L’uomo piuttosto che il politico. A vent’anni esatti dalla morte del leader Socialista, Gianni Amelio con ‘Hammamet’ – in sala dal 9 gennaio con 01 Distribution – propone un’indagine più intimista sugli ultimi mesi della vita di Bettino Craxi. ‘Il Presidente’ – che appare soltanto all’inizio del film nei panni del politico acclamato in occasione del 45° Congresso PSI, in cui uno dei suoi compagni, Vincenzo, cerca di aprirgli inutilmente gli occhi mostrandogli il precipizio – ci mostra il volto di quel ‘Bettino’ meno conosciuto, politico decaduto, solo, abbandonato dal suo Paese – pronto a voltargli le spalle per salire sul carro dei vincitori – e con un diabete invalidante che mette a rischio la riuscita degli interventi cardiologici cui dovrà sottoporsi. Craxi – di cui non si fa mai il nome durante tutta la durata dell’opera – nella sua residenza tunisina, appare come un uomo che non vuole arrendersi alla sconfitta, perseguitato da rimpianti e rancori, incapace di accettare le sue condanne, ingiuste, ricevute per aver fatto qualcosa che avevano fatto anche tutti gli altri.
Il tentativo di Amelio è certamente coraggioso nell’affrontare una vicenda ancora ‘calda’ per il Paese, uno spaccato scottante della nostra storia recente. Tuttavia il regista sceglie uno sguardo distaccato, né giudicante né assolutorio. E il risultato non è – e non vuole essere – né un biopic né un documentario, né una cronaca fedele né un pamphlet militante. L’Italia degli anni ’80, la Milano da bere, le ‘bustarelle’ e l’inchiesta ‘Mani Pulite’ restano solo come dettagli sullo sfondo della vicenda umana di Craxi.
L’occhio del regista ha scelto di guardare al ‘re caduto’, soffermandosi sul rapporto con l’appassionata e decisa figlia (Stefania) – che Amelio chiama Anita (Livia Rossi), in virtù della passione di Craxi verso ‘l’eroe dei due mondi’ – capace di suscitare tre rievocazioni: i binomi Elettra/Agamennone, Cassandra/Priamo, Cordelia/Re Lear.
Girato in gran parte nella vera residenza tunisina della famiglia Craxi, quello che colpisce di più di Hammamet è il lavoro di ‘scavo’ che Pierfrancesco Favino, in tutto e per tutto uguale al leader socialista ha fatto su se stesso. 5 ore di trucco sono state il tempo necessario all’attore per un transfert in cui ha abbandonato se stesso diventando ‘Il Presidente’, di cui ripropone fedelmente voce e gestualità con una maestria e una prossemica che finora non s’era mai vista.
Terzo asse della vicenda – un elemento narrativo di fantasia – l’arrivo inatteso del figlio del compagno di partito Vincenzo, morto suicida, venuto forse per vendicare il padre da colui che aveva individuato come la causa prima del gesto estremo?
Amelio non fornisce risposte, lascia che le tante domande restino aperte. Estremamente suggestive alcune scene, da quella del carro armato abbandonato nel deserto a quella onirica del Craxi-Favino che, scalzo, cammina tra le guglie del Duomo di Milano. Un film che farà certamente parlare di sé e verrà senza dubbio ricordato come la definitiva consacrazione di Pierfrancesco Favino che aveva già stupito con la performance eccellente dello scorso anno nei panni di Tommaso Buscetta ne “Il Traditore” di Marco Bellocchio. L’opera resta comunque un film interessante che può contare anche su una eccellente fotografia curata dal figlio del regista, Luan Amelio Ujkaj e sulle musiche del Maestro Piovani.
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