L’Albero della vergogna, edito da Fazi Editore nella collana Le Strade, in libreria dal 27 febbraio scorso (280 pagine, 18 Euro, traduzione di Raul Schenardi), a metà strada tra il romanzo e il saggio storico, narra una storia di crudeltà, dolore ed espiazione. Siamo nel piccolo paesino di Gexto, nei Paesi Baschi, all’indomani della vittoria di Franco. Il piccolo centro è paralizzato dalla paura: i ‘falangisti’ danno vita a rappresaglie ed esecuzioni. Alcuni uomini escono senza fare più ritorno, altri vengono impunemente uccisi sotto gli occhi sgomenti di madri, mogli e figli. Rogelio Ceròn è uno di quelli, insieme a Pedro Alberto, a Luis Ceberio, Eduardo Garcia, Fructuoso e Salvador. Tutto procede come nulla fosse, come sempre, fino a che un giorno la ‘compagine’ uccide un maestro repubblicano insieme al figlio maggiore al cospetto di Gabino, un bambino di soli dieci anni che vede trucidare sotto i propri occhi suo padre e suo fratello maggiore. Quell’orrore gli rimane dentro ed è proprio con il suo sguardo che lo imprimerà anche nell’animo di Rogelio, uno degli assassini, che da quel giorno non sarà più lo stesso.
“Mi fermo ad un metro dal bambino con la pistola in pugno. “Cosa pensi di fare”, mi domanda Pedro Alberto. “Qualunque cosa! Non deve guardarmi così!”. “Ti rendi conto che è un bambino?”. “I bambini non guardano così.”
Gabino seppellisce in un terreno poco fuori dal centro abitato suo padre e suo fratello e quindi, su quella terra, cerca di far crescere un albero di fico. Rogelio osserva muto Gabino, che viene a visitare i suoi cari solo di notte, lasciando di fatto a lui l’incarico di non profanare quel luogo. Attraverso quello sguardo così carico di dolore e risentimento, Gabino lega a sé Rogelio che tra il terrore della vendetta e il profondo senso di colpa, non sarà più in grado di abbandonare quel luogo, rimanendo fedele guardiano del fico e della tomba per quasi 30 anni.
Anche se con il tempo Gabino, per sfuggire alla fame, entrerà in seminario per poi diventare prete, Rogelio resta lì, su una sedia o nella baracca che ospita solo un vecchio materasso. Resta così, per anni ed anni, lontano da tutto e tutti, confortato solo da un po’ di cibo che gli reca Cipriana. Su di lui nascono strane dicerie: si tratta di un eremita, un pazzo, un santone?
Tanti anni dopo quell’appezzamento è destinato a diventare la nuova scuola per il Paese. Il Municipio offre a Rogelio altri terreni, più grandi per estensione, con una posizione migliore, unitamente al trasferimento anche del suo amato fico. Rogelio difende quella terra fino all’ultimo, e anche se era riuscito ad evitare la vendetta di Gabino, non si sottrae ad una morte violenta.
Il romanzo – per quanto frutto di fantasia – racconta un periodo drammatico in modo toccante e veritiero. I personaggi sono raffigurati in modo magistrale, oscillando tra il dolore e la crudeltà degli uni e l’arroganza degli altri. Ramiro Pinilla, un autore riscoperto da Fernando Aramburu, ha il coraggio di non lasciare sepolto un periodo oscuro e atroce e il romanzo, non sempre scorrevole, soprattutto nella parte iniziale, si distingue comunque per il suo valore umano.
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