Coronavirus: perchè non andrà tutto bene

L’emergenza Coronavirus in atto è qualcosa che tutti avevamo voluto sottovalutare, fino a quando la realtà ci ha posto di fronte ad evidenze cui era impossibile sfuggire.  L’emergenza sanitaria è certamente la prima e la più importante, tuttavia, con il passare dei giorni, si sta delineando un quadro sempre più chiaro che evidenzia una spaccatura – percettiva e non soltanto – dell’opinione pubblica rispetto al Coronavirus e alle conseguenze che la pandemia in atto ha determinato sulle nostre vite, a partire dalla crescente restrizione delle libertà del singolo volta ed evitare il diffondersi ulteriore del contagio.

Lo scenario generale genera sicuramente sgomento, non fosse che, uscendo ci si scontra con strade deserte e un silenzio assordante, del tutto inusuale in metropoli solitamente caotiche. Come in un film dell’orrore o in uno scenario post atomico ci si ritrova, nelle rare uscite, come sopravvissuti, a vagare con mascherine e guanti, scrutando con sospetto chi si incrocia, quasi che dietro quella figura bardata possa nascondersi un ‘contagiato’, un nuovo untore o una nuova vittima del ‘mostro’ senza volto. Mossi dalla paura i più continuano a far provviste – proprio come in tempo di guerra – creando code interminabili fuori dai supermercati dove l’accesso è contingentato e gli scaffali sovente vuoti.

Se qualcuno ce lo avesse raccontato solo qualche mese fa, non gli avremmo creduto.

Eppure siamo stati catapultati d’improvviso dalla nostra abituale quotidianità in questo scenario apocalittico, dove alla paura si aggiunge la quarantena, l’impossibilità, almeno momentanea, di uscire di casa, anche solo per fare due passi, l’impossibilità di incontrare qualcuno, anche solo per scambiare due parole e sentirci rincuorati. E il mio pensiero va a tutti coloro che vivono da soli, magari non più giovanissimi e quindi con maggiori difficoltà nel rimpiazzare un incontro umano con un rapporto virtuale. Ma non solo a loro… e la lista sarebbe lunga, dalle vittime di violenza domestica ai malati psichiatrici…

Di fronte all’emergenza, tuttavia, dovremmo assistere al riemergere di nuove forme di solidarietà, vicinanza, sostegno. Elementi questi poco ravvisabili in queste giornate tutte uguali in cui viviamo in un tempo sospeso, non più scandito da orari e impegni.

L’unica solidarietà – almeno nelle regioni meno colpite dal virus – sembra sostanziarsi in canti dal balcone alle 18, mentre anche sui social si assiste al riemergere di nuove forme di violenza verbale e di odio, alimentate anche da una classe politica inadeguata. Se i primi ‘nemici’ di questa stagione erano stati i cinesi, additati come ‘portatori del virus’, in breve il focus si è spostato verso nuovi soggetti, ultimi i ‘runner’ o i padroni dei cani. Che si tratti di un eccesso di legalità degli italiani che guardano con astio i potenziali contravventori delle regole? Non credo. Sembra piuttosto che anche in un momento così difficile, ci sia bisogno di accanirsi contro qualcuno, avere un nemico da combattere, per esorcizzare le proprie paure. E’ un meccanismo irrazionale che nasce dalla paura e scaturisce nell’esigenza di dividere buoni e cattivi, bene e male, per identificare un’area sicura in cui rifugiarsi.

Esiste tuttavia un’altra Italia, quella in prima linea, quella di medici e operatori sanitari, vessati da turni massacranti, spesso neppure adeguatamente protetti. In quelle corsie, in quelle terapie intensive dove ormai sfugge finanche il conto delle vittime, c’è quell’Italia che sta combattendo per la vita, fatta da coloro che credono ancora nell’importanza del proprio impegno, da coloro che lottano giorno dopo giorno mettendo a repentaglio la propria stessa sopravvivenza. E’ tuttavia l’Italia di quelle regioni in cui il Coronavirus ha spazzato via interi paesi, in un computo delle vittime che ha superato ogni possibile previsione. Vittime che non sono soltanto numeri, ma sono padri, madri, nonni, fratelli, sorelle… Affetti strappati ai propri cari, cui il virus nega la chance di una visita, di un conforto, costretti a morire in solitudine. Persone cui il virus nega finanche un funerale, un ultimo saluto, costringendo l’esercito a portare via i feretri verso crematori ormai incapaci di gestire flussi così consistenti.

Di fronte a tanto dolore non ci sono parole che possano restituire un senso a quello che sta accadendo.

E infine c’è una ‘terza Italia’, quella costretta a casa, senza lavoro né salario. Sono coloro che per lo Stato non esistono, fanno parte del ‘sommerso’ – molto più per mancanza di alternative che per scelta – ma che di fronte al lockdown generalizzato non hanno garanzie né prospettive. Mossi da precarietà, fame, e incertezza, alcuni di loro si sono uniti sui social in gruppi che inneggiano alla rivolta, culminata a Palermo in un assalto ad uno dei più grandi supermercati della città.

L’emergenza Coronavirus ha di nuovo allargato la forchetta della disparità sociale, che alimenta nuove forme di odio.

#Andràtuttobene è diventato uno slogan da balcone utile a placare gli animi dei più. Non credo stia andando tutto bene. Il rischio più concreto è quello di vedere l’esercito impegnato, al Nord, a spostare i feretri e, in altre parti del Paese, chiamato a sedare la rivolta civile dei nuovi poveri. 

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