E’ il primo maggio. La festa dei lavoratori, la festa di chi un lavoro ce l’ha! Nella memoria di tutti una giornata di festa, di pranzi all’aria aperta, pic nic e gite fuori porta. E invece anche questo primo maggio, dal tempo sospeso e dal lavoro incerto, ci vede a casa.
La quarantena più ‘stringente’ si avvia al termine mentre davanti a noi si apre una ancora incerta ‘Fase 2’. Il passaggio tra il mese di aprile e quello di maggio è stato scandito dal venire meno del consueto appuntamento delle 18, la Conferenza Stampa della Protezione Civile, con il suo diuturno, e spesso infausto, bollettino dell’epidemia, che ad oggi conta 28mila morti.
Siamo in casa dall’11 marzo scorso e le settimane sono trascorse così, tra l’inedia e la noia, almeno per i più, nell’attesa di tornare a quella ‘normalità’ – criticata fino al giorno prima – fino ad allora data per scontata.
Abbiamo visto ospedali al collasso, abbiamo sentito serpeggiare una paura crescente che ha aumentato la distanza tra noi e gli altri, abbiamo visto Papa Francesco in una piazza San Pietro deserta pochi giorni prima della Pasqua. Abbiamo trascorso settimane in sordina, in cui anche i giorni di festa sono passati sotto traccia, uguali a tutti gli altri.
Il silenzio delle strade e il divieto all’uscita – rispettato dai più nei giorni di punta del contagio, e dei decessi – sembrano ormai un ricordo lontano. A Roma eravamo tornati persino a vedere nel cielo un tappeto di stelle, negli ultimi anni oscurato dalla cappa di inquinamento che sovrastava la città.
Le strade stanno tuttavia tornando a riempirsi di auto e a brulicare di passanti, molti dei quali sprovvisti di una reale ragione che li autorizzi a mettere il naso fuori di casa.
Gli ultimi dati ci segnalano un numero di decessi, quotidiani, di poco inferiore ai 300 – un numero non indifferente se solo si avesse la capacità di pensare a costoro come esseri umani, familiari, mogli, mariti, padri e madri, nonni e non soltanto numeri che si aggiungono ad altri numeri – ma l’agenda del paese e il comune sentire ha già volto lo sguardo altrove.
Il lacunoso discorso di Conte alla nazione del 26 aprile ha tratteggiato una ‘Fase 2’ ancora in buona parte incerta e dai confini labili – tanto che il dpcm definitivo non è ancora sul sito del Governo – e la polemica degli ultimi giorni ha solo tratteggiato più accuratamente il profilo degli ignoti ‘congiunti’.
Nel mentre il Paese è al collasso economico – con previsioni di crollo del Pil di oltre 9 punti – con migliaia di nuovi poveri (i disoccupati, i cassintegrati e i tanti lavoratori in nero, non certo per loro scelta) e altrettante attività incapaci di rialzare le saracinesche dopo una sì prolungata chiusura. Dovremmo pensarci seriamente, in una giornata come questa dove il lavoro, per molti, per troppi, non è più una certezza.
La politica – italiana e mondiale – tranne pochi sprazzi di buon senso, non ha avuto ritegno, neanche di fronte all’emergenza, cavalcata dai più a scopi propagandistici.
Si dice che la reale statura degli uomini si misuri quando essi sono chiamati ad alzarsi in piedi. Sul Corriere della Sera di oggi lo scrittore Stephen King dichiara “Non sono mancati presidenti stupidi anche in passato. Gerard Ford non era certo un’aquila. Ma quando guardi Trump ti rendi conto che forse non sa nemmeno leggere quello che ha davanti. Secondo me non sa nemmeno scrivere. E chi non sa leggere e non sa scrivere non è nemmeno capace di pensare, a mio avviso. E questo è il nostro comandante in capo”.
L’opinione di King – oltre ad essere ampiamente condivisibile – potrebbe essere facilmente estesa ad altri ‘comandanti in capo’ o aspiranti tali, che si agitano anche nella nostra vecchia Europa. Non va meglio in Italia, dove l’opposizione non si sottrae a siparietti di invettiva maldestra, animati da spirito populista e infarciti della più becera ignoranza.
Negli ultimi giorni la bagarre sui tempi di riapertura ha coinvolto governo e enti locali, presidenti di regioni e sindaci che giocano ora a fare gli sceriffi, ora a voler esercitare sopra ogni cosa il proprio piccolo potere…. Nel caos più totale.
Non sono affatto sicura – non lo ero in verità neanche all’inizio – che da questa storia usciremo migliori. Nell’arco di una manciata di mesi torneremo ad una nuova normalità, dimentichi di quel che resterà nei libri di storia come una nuova ondata di ‘peste nera’, dei quasi 30mila morti (solo italiani) e indifferenti, ancora una volta, rispetto ad un’emergenza climatica che, se non arginata, avrà conseguenze devastanti.
Occorre un ripensamento radicale dell’organizzazione sociale, della mobilità, della scuola e del lavoro. Ma nessuno sembra pensarci. Concretamente e radicalmente.
Stamattina rientrando con i cani ho visto passare un autobus: a bordo c’erano due amici e prima che uno dei due scendesse alla fermata, si sono abbracciati e baciati per salutarsi, proprio come si faceva un tempo. L’unica chance che abbiamo, a conti fatti, sarà la tanto criticata ‘immunità di gregge’ proposta da Johnson.
Quello che si vede in giro non è affatto incoraggiante. Tuttavia, come ebbe a sostenere Barack Obama nel cuore della disfatta finanziaria del 2008 “Questa è una crisi che non possiamo permetterci di sprecare”.
Possiamo solo sperare in una buona stella.
Buon 1° maggio!
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