http://opinione.it/cultura/2016/09/30/dalessandri_cultura-30-09/
Stefano è poco più che ventenne, gentile ed educato. È stato appena assunto al banco dei pegni ma, nonostante l’entusiasmo iniziale, è costretto a scontrarsi con una realtà deprimente e con il suo capo Sergio, una figura cinica e torbida, che non si tira indietro a “manovre” dietro le quinte.
Sandra è un trans appena rientrata a Torino dopo un lungo periodo nel tentativo di lasciarsi alle spalle un passato difficile e un amore finito. Respinta dalla famiglia che le nega finanche di entrare in casa, è costretta ad impegnare quanto le rimane per cercare di sopravvivere, vivendo in affitto in un luogo decadente gestito da una donna molto simile ad una tenutaria di bordello e sostentandosi facendo le pulizie.
Infine c’è Michele, un pensionato che vive con la moglie accudendo il nipotino sordo per consentire alla figlia di lavorare in un supermercato. Per ripagare un debito Michele aiuta il cognato, ma presto si trova incastrato in un meccanismo infernale dove il guadagno deriva dal lucrare sulle disgrazie altrui. I tre, pur consapevoli della propria condizione, sono intrappolati nei loro ruoli senza chance di via d’uscita, alla stregua dei personaggi raccontati da James Joyce nella raccolta “Gente di Dublino”.
Un racconto corale sullo stare al mondo al tempo delle grandi disuguaglianze, un film nobile nell’intento a tratti quasi documentaristico anche se non del tutto riuscito dal punto di vista registico, che ha tempi e inquadrature più simili ad una fiction televisiva che ad lungometraggio da grande schermo. In sala da giovedì, è un’opera che merita comunque per il messaggio che veicola e per le riflessioni che propone.
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